NOTIZIE BREVI

ALI ORGEN È LIBERO!!!!!!!

GIOVEDì 28 OTTOBRE ORE 11 CONFERENZA STAMPA PRESSO LA CONFEDERAZIONE COBAS (via Lazio n°51)

martedì 26 ottobre 2010

CONFERENZA STAMPA GIOVEDì 28 OTTOBRE

GIOVEDì 28 OTTOBRE IL COMITATO ORGANIZZA PRESSO LA CONFEDERAZIONE COBAS (via Lazio n°51) LA PRIMA CONFERENZA STAMPA DOPO LA LIBERAZIONE DI ALì DALLE ORE 11.00

domenica 24 ottobre 2010

prossima assemblea 25/10/10

PROSSIMA ASSEMBLEA DEL COMITATO LUNEDÌ 25 OTTOBRE ORE 20,30 C/O CONFEDERAZIONE COBAS via Lazio n° 51.

lunedì 18 ottobre 2010

LIBERO

OGGI ALLE 14,30 CIRCA SI SONO FINALMENTE SCIOLTI TUTTI I NODI ALI ORGEN È LIBERO!!!!!!!!!
IL GIUDICE HA INFATTI RIGETTATO QUALUNQUE ACCUSA PROCLAMANDO CIÒ CHE DOVEVA ESSERE PROCLAMATO GIÀ DUE MESI ALÌ ORGEN NON VA ESTRADATO!!!

martedì 12 ottobre 2010

SIT-IN PER ALI ORGEN 18 OTTOBRE 2010

In previsione del processo di Alì Orgen datato 18/10/2010 il comitato contro l'estradizione ha organizzato un sit-in presso la Corte d'Appello di Paolo Sesto (Taranto) dalle ore 08.30 per mostrare il suo sostegno ad Alì e a tutto il popolo curdo..
abbiamo bisogno del massimo della partecipazione cittadina e vi informiamo che il comitato ha stabilito che ogni partecipante dovrà evitare di portare bandiere di qualsiasi organizzazione o partito, le uniche bandiere che accetteremo saranno quelle curde... dimostriamo tutti insieme che Taranto è a favore del rispetto dei diritti umani e che è vicina ad un suo cittadino..

giovedì 7 ottobre 2010

sabato VILLANOVA UNITED FOR ALI part2

Sabato 9 Ottobre seconda serata in solidarietà con Alì Orgen al Villanova dalle ore 23.00

lunedì 4 ottobre 2010

LA PETIZIONE PETIZIONE CONTINUA...

I BANCHETTI DI CONTROINFORMAZIONE E RACCOLTA FIRME IN SOLIDARIETà CON ALI ORGEN CONTINUANO IL PROSSIMO BANCHETTA è IN PIAZZA MARIA IMMACOLATA ALLE 18 MARTEDì 5 OTTOBRE.

martedì 28 settembre 2010

PROSSIMA ASSEMBLEA 29/09/10

La prossima assemblea del Comitato è  MERCOLEDI' 29 SETTEMBRE 2010 PRESSO LA SEDE DELLA CONFEDRAZIONE COBAS IN VIA LAZIO 51 ALLE ORE 20.00

mercoledì 22 settembre 2010

RINVIATO!!!! SABATO 25 BANCHETTO INFORMATIVO E RACCOLTA FIRME

CAUSA PIOGGIA IL BANCHETTO DI QUESTO POM È STATO RINVIATO

Sabato 25 settembre appuntamento alle 18 in piazza Maria Immacolata angolo via D'Aquino, il comitato sarà lì con un banchetto informativo e per continuare la raccolta firme.

giovedì 16 settembre 2010

PROSSIMA ASSEMBLEA MARTEDÌ 21 SETTEMBRE

La prossima assemblea del comitato si terrà Martedì 21 presso la sede della confederazione COBAS in via Lazio 51.

lunedì 13 settembre 2010

PROSSIMA ASSEMBLEA GIOVEDÌ ALLE 19

Vi informiamo che la prossima riunione del comitato si svolgerà il giorno 14 settembre alle ore 20,00 presso la sede di SINISTRA CRITICA,
mentre giovedì 16 alle 19 ci sarà un assemblea con gli avvocati tarantini presso radio popolare (primavera radio) in via mezzetti 24 adiacente piazza Pio X.

venerdì 10 settembre 2010

intervista all'avv. Arturo Salerni

Parla il Presidente dell’Associazione Europa Levante e avvocato di Öcalan: "E' il Mandela dei curdi"
intervista ad Arturo Salerni di Marco Incagnola
 
Come raccontato in questa pagina, il Comitato europeo ha reso pubblico il report sulla visita nel carcere dove attualmente è detenuto Öcalan. Parliamo della sua situazione con Arturo Salerni, che oltre ad essere l’avvocato che consentì al leader del Pkk il riconoscimento del diritto di asilo è anche il Presidente dell’Associazione Europa Levante.
Avvocato Salerni, cosa pensa della situazione in Turchia, oggi, rispetto all’annoso conflitto tra kurdi e turchi?
Fino a poco tempo fa, sembrava che ci fossero delle aperture da parte del Governo Erdogan ma in realtà, anche per la pressione dei militari che partecipano sempre attivamente alla vita politica turca, il percorso ha registrato molte più battute d’arresto che passi in avanti. Negli ultimi mesi ci sono stati arresti di amministratori locali nell’area del sud est e lo scioglimento del DTP, il partito che rappresentava l’etnia kurda nel Parlamento turco. Le aperture del Governo, peraltro, erano attese anche in considerazione del fatto che il percorso di ingresso in Europa della Turchia richiede il riconoscimento di alcuni standard democratici. Ma anche la presenza di molte forze politiche, soprattutto in Francia e Germania, che hanno premuto per non fare entrare la Turchia in Europa, hanno fatto sì che la Turchia oggi guardi più al Medioriente che all’Europa. La questione dei diritti della minoranza kurda, insomma, non ha registrato significativi miglioramenti.
Lei è stato l’avvocato che ha consentito il riconoscimento del diritto di asilo ad Öcalan. A chi sono attribuibili, a suo avviso, le responsabilità dell’arresto?
Öcalan ha subito delle condizioni di detenzione inammissibili, durissime. Unico prigioniero sull’isola di İmralı, per oltre dieci anni. Senza parlare delle modalità di arresto, un’operazione di illegalità internazionale. Tutti ricordano l’assalto all’ambasciata di Nairobi. Öcalan è il Mandela dei kurdi, ed è riconosciuto come tale dal suo popolo. Un attore indispensabile per un possibile dialogo tra le parti. Oggi Öcalan è stato sostanzialmente neutralizzato. L’Italia formalmente non lo ha mai respinto. Formalmente la magistratura ha anche dichiarato il suo diritto all’asilo. Il nostro Paese, invece, ha una grande responsabilità politica, anche per non aver fino in fondo offerto sostegno ad Öcalan. All’Europa è mancata una visione politica capace di imporre un vero e proprio negoziato tra lo stato turco e i kurdi che vivono in Turchia. Stiamo parlando di circa 20 milioni persone, circa un quarto della popolazione turca. La situazione si è evoluta positivamente per i kurdi a livello internazionale, con il riconoscimento della Regione autonoma del Kurdistan. Oggi le condizioni sarebbero pure favorevoli, ma se non si pone il negoziato come punto imprescindibile per l’ingresso in Europa della Turchia, sarà difficile che si compiano decisivi passi in avanti.
L’Unione Europea ha inserito molte organizzazioni kurde tra quelle terroristiche. Cosa ne pensa?
L’inserimento del Pkk e del Kongra-gel è una forzatura dal punto di vista giuridico. Alcuni organismi giurisdizionali europei hanno dichiarato illegittimo l’inserimento da parte del Consiglio dell’Unione Europea del Pkk nella lista delle organizzazioni terroristiche. Dopo l’estate partirà una campagna dei giuristi europei per l’escludere il Pkk da questa lista. Una decisione che, obiettivamente, è insensata.

Articiolo pubblicato su Terra del 15 luglio 2010

presidio sotto il carcere di Benevento


Sabato 4 Settembre il Comitato di Solidarietà ad Alì Orgen ha organizzato sotto il carcere di Benevento un presidio contro l'estradizione di Alì.

Il pullman è partito da Taranto verso le 13 portando con se una folta delegazione proveniente un pò da tutta la Puglia.
Verso le 17 siamo arrivati a Benevento, appena scesi dal pullman abbiamo cominciato ad allestire il piazzale davanti all'ingresso del carcere con striscioni foto e materiale informativo vario, dopo poco sono arrivate le delegazioni napoletane e beneventane.

La prima ora di presidio è stata dedicata ad una fondamentale parte informativa svolta per la strada, molte macchine si sono avvicinate agli striscioni incuriosite.

Finita la parte informativa tutto il presidio si è mosso in corteo spontaneo ed è arrivato dietro al carcere là dove sono le celle dei detenuti.

In quel luogo la parte informativa non serviva, servivano solo le voci, voci che dovevano arrivare nelle celle.

Tuttavia il presidio non si è concentrato esclusivamente sulla questione umana, ma soprattutto sulla questione politica.

Alì è in carcere in quanto Kurdo, perchè il popolo Kurdo rivendica il dirittoall'autodeterminazione a parlare la propria lingua a salvaguardare le proprie radici e la propria cultura.

Chiedere la liberazione di Alì significa inevitabilmente chiedere la liberazione del popolo Kurdo perchè sono oltre 10000 i Kurdi sottoposti a torture quotidiane nelle carceri turche anche solo per aver parlato in kurdo.

I militanti del PKK hanno più volte dimostrato di essere partigiani per il Kurdistan e il governo turco altrettante volte ha dimostrato la sua ferocia e il suo tentativo di genocidio del popolo Kurdo, mentre la comunità internazionale finge di non vedere.

L'infamia delle richieste di estradizioni dei kurdi deve finire, lo Stato italiano non può permettere di consegnare nelle mani di questi macellai i nostri fratelli kurdi. Ricordiamo soltanto che quando l'allora governo D'Alema temporeggiava sull'estradizione di Ocalan la Turchia bloccò immediatamente tutti i traffici commerciali in uscita verso l'Italia, non possiamo permettere che questo accada ancora.

Non possiamo permettere che squallidi interessi di mercato abbiano la precedenza sulla vita delle persone e sul diritto di ogni popolo all'autodeterminazione.
Oggi come ieri siamo contro l'estradizione di Alì siamo con i Kurdi e con i PARTIGIANI del Partito dei Lavoratori Kurdo.

mercoledì 8 settembre 2010

venerdì 3 settembre 2010

da 'il megafono quotidiano'

CURDI UN APPELLO PER ROMPERE IL SILENZIO
di Hevi Dilara

Pubblichiamo la lettera di Hevi Dilara, rifugiata politica curda, come atto di denuncia della repressione che si è abbattuta sulle comunità curde presenti in Europa (Italia compresa) negli ultimi giorni. La vicenda personale di questa donna, nella quale si incarna l'esperienza resistenziale di un intero popolo negato, contribuisce anche a ridare un significato autenticamente politico alla celebrazione dell'8 marzo che ricorre oggi. Fino ad ora, nel Kurdistan turco, sono stati distrutti più di 4500 villaggi e si stima che siano più o meno 5 milioni gli uomini e le donne che il processo di “turchizzazione” ha costretto a fuggire lontano dalla propria terra, nelle disumane baraccopoli delle metropoli turche o nelle periferie delle città europee. Chi è rimasto, lotta ogni giorno contro la violenza dei militari che occupano le città. E più si procede verso est, più questa presenza è pressante. Persino le montagne recano scritto sulle proprie pareti “fieri di essere Turchi”.

Il mio nome è Hevi, che in lingua kurda significa speranza. Ma sui documenti ho un nome turco, perché in Turchia è proibito dare ai figli un nome kurdo.
Sono una rifugiata politica, fuggita dalla repressione turca, e vivo in Italia da 14 anni.
Sono una donna kurda, perseguitata per aver voluto esprimere la mia identità, per aver voluto far parte di un gruppo di musicisti kurdi, di cui ero la cantante. Come tante altre, che ancora oggi continuano ad essere perseguitate e subiscono la repressione.
Il popolo kurdo sta vivendo una persecuzione unica nel suo genere, di cui nessuno parla, soprattutto in Europa, e nemmeno in Italia.
Il 2008 ha visto un grave aumento dei dati sulla repressione nei confronti di cittadini e della società civile kurda in Turchia, come emerge anche nei rapporti di Amnesty International e dell'Associazione per i diritti umani.
La Turchia considera i kurdi dei terroristi, per la loro volontà di esistere. Ed esige dagli alleati europei, che lo siano anche per loro. Accettarlo significa violare ogni convenzione internazionale e dichiarazione universale per i diritti umani, che l’Italia e gli altri paesi europei hanno firmato.
L'Unione europea ed i paesi ad essa appartenenti, si stanno allineando alla prassi turca di annientamento e negazione di un popolo. Quel popolo kurdo, che in Europa si attesta attorno al milione di persone, fra rifugiati politici e migranti.
Pur essendo una comunità di recente venuta in Italia, nelle aree in cui vivono i kurdi e le kurde sono molto bene integrati, e vi lavorano e studiano. Non va dimenticato però che sono fra le migliaia di vittime della guerra che i militari e lo stato turco perpetrano contro il popolo kurdo: uomini, donne e bambini. I rifugiati politici come me, infatti, non sono migranti che lasciano con un progetto di vita nuovo il proprio paese. Essi sono in fuga, alla ricerca di un posto dove poter vivere e sentirsi al sicuro. Nonostante le difficoltà di trovare un lavoro, come rifugiati politici e migranti kurdi, siamo riusciti a sentirci come a casa qui in Italia, accolti dagli italiani che ci hanno fatto sentire la loro vicinanza. Ma ci risulta difficile comprendere che la polizia attacchi noi kurdi anche nelle case.
In Italia vivono kurdi che sono in maggioranza rifugiati politici, fuggiti da un paese in cui rischiano la vita. Secondo l'Associazione dei diritti umani sono almeno 18 le esecuzioni extra-giudiziarie avvenute nel 2009 in Turchia. Sono più di duemila i giovani sotto i 18 anni arrestati per aver partecipato a manifestazioni di piazza per i diritti del popolo kurdo. Sono centinaia i rappresentanti democraticamente eletti in Parlamento e nelle amministrazioni locali che nell’ultimo anno sono stati imprigionati. Uomini e donne che si battono per l’affermazione dei diritti e un’autonomia territoriale come quella che in Italia viene riconosciuta all’Alto Adige e alle altre regioni a Statuto speciale.
Anche in Europa, come si è visto dalla grave operazione lanciata la settimana scorsa in Italia e attualmente ancora in corso anche in Francia e in Belgio, le azioni del movimento kurdo vengono considerate azioni di terrorismo. Si tratta di manifestazioni pubbliche di carattere culturale e politico, trasmissioni televisive, festival e concerti, oppure anche di incontri residenziali svolti alla luce del sole in luoghi pubblici, come quelli tenutisi in Italia.
I kurdi in Europa svolgono attività d’informazione e di sensibilizzazione senza aver mai commesso alcuna azione terroristica.
In Europa ci si avvia verso un conformismo alle pratiche turche in nome di interessi che vanno al di là di ogni civiltà e che attraverso queste forme di persecuzione usando il nome del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, che in Europa non esiste, portano alla criminalizzazione del popolo kurdo di Turchia e di chi si espone a difesa dei propri diritti.
Faccio personalmente appello alle organizzazioni delle donne italiane, ai democratici e alla società civile italiana affinché si rompa il silenzio attorno ai fatti di repressione nei confronti dei kurdi, che non vengono solo perseguitati in patria, ma anche in Italia.
Vi ringrazio per l’attenzione.
HEVI DILARA

mercoledì 1 settembre 2010

Le carceri turche raccontate da chi c’è stato

Dino Frisullo con Giancarlo Mola


"I curdi parlano del carcere come della loro universita’. E del loro tempio: gli eroi nazionali sono quelli che si sono lasciati morire di fame o si sono dati fuoco dietro le sbarre. Nell’abisso delle prigioni turche darsi la morte e’ l’unico messaggio di vita". Dino Frisullo sa di cosa parla. Perche’ lui quelle carceri le ha provate. E ha respirato l’aria pesante della repressione in nel Kurdistan turco. Il pacifista barese e’ stato arrestato dalla polizia turca a Diyarbakir il 21 marzo 1998. "Ero andato li’ con una delegazione di cento osservatori europei per seguire una manifestazione in occasione del Newroz, il capodanno curdo. C’erano 70.000 persone. Quattro anni primi quel corteo si era concluso nel sangue, con 40 curdi morti durante gli scontri con la polizia. Gli anni successivi invece non c’erano stati disordini, proprio grazie alla presenza degli osservatori". Anche quell’anno tutto sembrava tranquillo. Poi pero’ la situazione e’ precipitata. Centinaia di feriti, una donna e un bambino finiti sotto i cingoli dei carri armati e ridotti in coma.
Dino Frisullo venne allora arrestato, insieme ad altri due italiani, un giovane di Firenze e una ragazza napoletana. "Ci portarono – ricorda - al comando di polizia. Rimanemmo li’ dentro agli arresti per tre giorni, senza un avvocato. Poi gli altri due furono scarcerati ed espulsi. Su di me invece lo stato turco decise di costruire il processo esemplare". Il portavoce della Rete antirazzista fu poi scarcerato il 30 aprile, dopo la prima udienza, alla quale era stato accompagnato in ceppi. Si e’ ripresentato al processo, dove ha subito una condanna a un anno di reclusione (con la condizionale) e una multa a circa quaranta milioni in lire italiane per apologia di terrorismo. "Il mio caso rischiava di compromettere irreparabilmente i rapporti tra la Turchia e l’Italia o l’intera Europa. Per questo sono stato risparmiato".
Ma il ricordo di quei quaranta giorni e’ indelebile. "C’erano ovunque per il carcere le tracce degli strumenti di tortura. Ho visto gli anelli di metallo sospesi a due metri e mezzo da terra a cui venivano appesi i prigionieri, le vasche in cui venivano immersi in acqua gelida, o nell’orina e gli escrementi, i fili elettrici. La cella di fronte alla mia e’ stata per decenni uno dei principali luoghi di tortura. Era divisa in veri e propri loculi. Ciascuno aveva un finestrino che dava sul corridoio: da li’ i prigionieri ogni giorno dovevano esporre le mani e i piedi per la bastonatura".
Oggi nel carcere di Diyarbakir le condizioni dei detenuti sono migliori rispetto a quelle dei sessanta penitenziari speciali disseminati per la Turchia, in cui sono confinati oltre 12.000 prigionieri politici curdi. Nel ’97 una rivolta fu repressa, e dodici condannati massacrati brutalmente dai soldati. Il governo fu costretto a sostituire il direttore. Adesso li’ non si pratica piu’ la tortura sistematica. Ma i maltrattamenti si’. "La notte prima del mio processo senti’ urla e grida dalla sezione dei detenuti politici. I curdi scandivano slogan, i soldati erano in fibrillazione. Il giorno dopo seppi che tre prigionieri erano stati bastonati a sangue e lasciati mezzi morti davanti alle loro celle", ricorda Frisullo.
La sua voce e’ calma mentre racconta quella che definisce "l’esperienza piu’ dura e formativa della mia vita". Ma la tensione e la rabbia tenute dentro sono tradite dalle mani. Sono poggiate sulle gambe, ben strette. Quasi volessero assicurarsi che si’, sono ancora li’, nessuno le ha spezzate. Tra le dita c’e’ spesso una Ms, da cui aspira raramente. Per non interrompere le parole. "La cosa piu’ terribile del sistema carcerario turco e’ il totale arbitrio. Puoi restare li’ settimane, mesi, anni, decenni. Sepolto vivo, sempre nella paura che possa succederti qualcosa. Molti detenuti non vanno mai in ospedale, neanche quando stanno male: perche’ li’ ti fanno una iniezione di strictnina e dicono che hai avuto un infarto".
Dall’esperienza della tortura dopo gli arresti passano praticamente tutti. Anzi la resistenza alla tortura, per i curdi, serve sostanzialmente a stabilire a quale sezione del carcere si deve essere assegnati. "Se dopo quattro o cinque giorni l’arrestato non firma la confessione, gli viene contestato un reato comune, spesso il traffico di droga, e viene condannato a otto-dieci anni. Se firma subito e’ accusato di un crimine politico e le pene vanno da quindici a venticinque anni di prigione". Quelle dei "politici" sono condizioni durissime. Di cui pero’ Dino Frisullo non ha esperienza diretta. Pur essendo accusato di un reato politico e’ stato infatti tenuto nella cella dei delinquenti comuni: "Non volevano che avessi contatto con i perseguitati, che vedessi da vicino, che guardassi i volti. Ma in carcere ci sono mille modi per comunicare…". La sua prigionia e’ stata trascorsa quindi in una grande cella con altri trentacinque condannati. Diciotto file di letti a castello, con al centro un tavolo. Un televisore con un solo canale, quello della tv di stato. E il fornelletto del te’ sempre acceso, dove i carcerati cucinano le provviste che gli mandano i parenti. Per integrare le scarse razioni di brodaglia che dovrebbero essere il pasto dei detenuti.
C’e’ poi la guerra tra i detenuti, ferocemente sobillata dai militari. L’enorme costruzione di cemento alla periferia di Diyarbakir, isolata da un profondo fossato e separata dal mondo esterno con una enorme porta di ferro ad ante scorrevoli, e’ divisa in tre sezioni per i "politici", piu’ la cella dei "comuni". In fondo, relegati, gli irriducibi. Piu’ vicini, anche fisicamente, alla direzione, i pentiti. Che sono utilizzati anche per attivita’ repressive. "Mi accorgevo che le loro celle di giorno si svuotavano", dice Frisullo. "Ho chiesto e mi hanno spiegato che vanno fuori a dare una mano alla polizia, a sparare contro i loro connazionali". In mezzo i "senza parte", gli indecisi. Su cui sono esercitate violente pressioni. Non possono vedere i duri e puri. Sono invece a contatto con i pentiti, da cui vengono spesso. I trattamenti sono diversificati. I pentiti hanno diverse ore d’aria al giorno, possono incontrare i loro familiari faccia a faccia. Gli altri invece non hanno diritti. Possono vedere i loro parenti attraverso due grate a un metro di distanza l’una dall’altra. "Se uno ha un figlio non puo’ toccarlo. Puo’ rimanere li’ per vent’anni e vedere crescere solo un’ombra".
Queste sono le galere turche, quelle migliori. "E’ l’isolamento del mondo, il silenzio del mondo", dice Frisullo. "Quando ero li’ non potevo leggere stampa straniera, non avevo contatti con l’esterno, solo poche lettere passavano al vaglio della censura. Ho saputo della mobilitazione internazionale a mio favore solo quando sono uscito. Mentre ero li’ guardavo solo i giornali di regime che mi definivano ogni giorno provocatore, infame, terrorista". Eppure la posizione di Frisullo non era cosi’ compromettente. "Sono andato in Turchia come osservatore. Solidale si’, ma pur sempre osservatore. Non era certo dalla parte dello stato ma neppure dell’anti stato", dice. Lui comunque si considera un miracolato. "Sono l’unico europeo a essere entrato nelle carceri turche e a esserne uscito per poter raccontare. Quei giorni li’ dentro pero’ mi hanno cambiato. Per questo al processo ho ironicamente ringraziato i giudici turchi per l’esperienza che mi avevano fatto vivere".
Ma Dino Frisullo in Turchia ci vuole tornare. Provera’ quando si terranno le nuove elezioni, ma probabilmente sara’ respinto alla frontiera. "Quel che e’ certo – afferma – e’ che ci tornero’ se dovessero uccidere Ocalan, cosa che ritengo probabile. In quel caso pero’ lo faro’ clandestinamente. Per stare a fianco del popolo curdo in quello che di certo sara’ diventato un inferno".



5 marzo 1999

lunedì 30 agosto 2010

sabato 4 PRESIDIO SOTTO IL CARCERE DI BENEVENTO

Sabato 4 Settembre il Comitato di Solidarietà ad Alì Orgen indice un presidio sotto il carcere di Benevento per denunciare ancora una volta l'ingiusta detenzione di Alì Orgen, le infami torture a cui sono sottoposti i curdi in Turchia e l'ignobile complicità dello Stato italiano nel genocidio del popolo curdo attraverso processi di estradizione illegittimi.

Il pullman per Benevento partirà dalla concattedrale alle ore 12,30 il costo del biglietto è di 10 euro a persona.
È fondamentale la partecipazione di quanta più gente possibile, ora più che mai serve una forte presenza che aiuti Alì a sopportare lo stato di detenzione e che richiami l'attenzione dei media affinchè il caso Alì Orgen diventi quanto più pubblico possibile.
Non possiamo permettere che gli infami accordi economici tra lo Stato italiano e quello turco  si consumino sulle spalle di Alì e di tutt* le/i curd*.

Chiunque voglia prenotare può passare dal phone-center di Alì in via Mazzini 105
o inviare una mail a aliorgenlibero@gmail.com

sabato 28 agosto 2010

finito il sit-in itinerante

Questa mattina si è svolto il sit-in itinerante in solidarietà ad Ali' Orgen che si è concluso come previsto in prefettura con una conferenza stampa e con il grido di giustizia degli amici di Alì.

L'iniziativa ha visto la partecipazione di un centinaio di persone, il risultato è buono, ma dobbiamo fare ancora meglio, non lasciamo Alì da solo.

Lunedì alle 18 alla sede della Confederazione Cobas in via Lazio 58 si terrà un'assemblea preparatoria per la manifestazione che il Comitato di Solidarietà ad Ali' Orgen sta organizzando sotto il carcere di Benevento.. In questo momento più che mai serve che Ali' senta il nostro calore affinchè si faccia forza in quell'ignobile carcere.

L'arresto di Alì è illegittimo ed assolutamente ingiustificato. Conferma la volontà repressiva del regime turco (e non solo) e l'assurda complicità dello Stato italiano nel genocidio perpetrato ai danni dei kurdi in Turchia.

ALÌ LIBERO- KURDISTAN LIBERO 

venerdì 27 agosto 2010

DAL BLOG SI SINISTRA CRITICA

Ali Orgen a Benevento: peggio del 41 bis

c'è stata la conferma dell'avvocato Pulito che Ali si trova a Benevento. Pubblichiamo una testimonianza di un detenuto arabo.
Un carcere con il regime di 41 bis, no, è
peggio del 41 bis, questo carcere è
Guantanamo…
Informacarcere.it - Forme Espressive [Testimonianze]
di Hussein Khaled
"Sud Italia"

...Dopo la condanna "ingiusta", ora la tortura; per quale motivo e per quale legge dobbiamo essere
torturati? O si stanno approfittando dell'occasione perchè sanno che i nostri governi non
intervengono? Sono stato trasferito dal carcere di Parma al carcere di Benevento il 18/01/08, all'inizio
ero molto contento del mio trasferimento perché ho sofferto molto nel carcere di Parma per il
maltrattamento e dei problemi, però e purtroppo, questa felicità non è durata molto perché dopo il mio
arrivo al carcere di Benevento sono rimasto sorpreso da questo carcere, un carcere dove hanno
ristrutturato una struttura solo per i musulmani che sono accusati di terrorismo!
Un carcere con il regime di 41 bis, no, è peggio del 41 bis, questo carcere è Guantanamo con tutti i
fatti, l'unica differenza tra questo carcere e Guantanamo è quella divisa arancione, noi siamo trattati
come prigionieri di guerra. Quando siamo arrivati qui non abbiamo trovato i nostri diritti come
detenuti e non parliamo del trattamento, la perquisizione e la vigilanza, non possiamo fare niente.
Senza perquisizione e vigilanza l'unica cosa che è permesso è "il respiro". Questo è un centro di
tortura psicologica, qui non ti toccano neanche con un dito però ti distruggono moralmente,
mentalmente, spiritualmente. L'unica cosa che ti viene in mente è di suicidarti, meglio di questa vita
senza diritti e senza dignità.
Io sono stato nel 41 bis e nell'EIV però non ho mai visto un regime di detenzione simile a questo.
E non dimentico delle finestre che sono chiuse con una piastra che impedisce all'aria ed alla luce del
sole di entrare, siamo dentro una scatola chiusa, non possiamo vedere il cielo nel passeggio per una
rete sopra la testa, "perché i musulmani volano!". E senza dimenticare nemmeno che ci sono alcuni
detenuti che hanno malattie respiratorie: asma, bronchite, ecc. e che ci sono fumatori dentro a questa
struttura chiusa: "la scatola", sia detenuti che guardie, cosa fanno questi malati? Però che se ne frega il
Ministero di quelli; in Italia basta solo l'accusa per rovinare la gente e per noi musulmani l'accusa non
manca. In questo carcere abbiamo trovato la legge e non abbiamo trovato i diritti, in questa struttura
http://www.informacarcere.it - Associazione Pantagruel - Firenze
siamo solo 9 persone: 5 algerini, 2 iracheni, 1 egiziano e il sottoscritto palestinese e questa è la nostra
sezione e abbiamo sentito che stanno per portare altri musulmani e questa è la nostra situazione in
generale senza dettagli...
Questo provvedimento è una vergogna per questo Stato e specificamente una vergogna per il
Ministero di Giustizia! Noi siamo in malissimo condizioni in questo carcere e stiamo organizzando
una protesta, uno "sciopero della fame" contro questo provvedimento del Ministero di Giustizia
contro i musulmani...
Hussein Khaled

Carcere di Benevento - febbraio 2008

giovedì 26 agosto 2010

SABATO 28 SIT-IN ITINERANTE


Ali Orgen libero
No all’estradizione



Non si può capire l’arresto e la richiesta di estradizione di Ali Orgen se non parliamo del Kurdistan, un paese negato che invece ha un suo popolo, suoi confini, una sua lingua, una sua cultura. Un paese di 40 milioni di persone che ha subìto e subisce il genocidio perpetrato da quegli stati che, come la Turchia ne occupano le terre e ne vogliono distruggere la storia. Per il solo fatto di parlare il curdo, si rischia la prigione. Ogni formazione politica curda è bandita.
Ali Orgen ha scelto come tanti altri curdi di manifestare e lottare per la liberazione del proprio popolo, il riconoscimento dei suoi diritti e l’indipendenza dallo Stato turco. Per questo, nel novembre del ’96 è stato arrestato. Dopo tre anni di carcere duro, in cui viene ripetutamente torturato, è condannato a morte, benché non sia mai stato accusato di alcun fatto di sangue. La condanna viene poi tramutata in ergastolo e successivamente in sei anni di reclusione. È un processo farsa. Al momento della condanna, ad Ali manca da scontare un residuo di pena, ma gli viene abbuonato.

Dal 2003 Ali vive a Taranto. Da un paio d’anni aveva aperto un phone center, il primo della città, per permettere a tutti gli stranieri di chiamare a prezzi modici nei propri paesi.
Nel 2005, in sua assenza, il processo viene riaperto, e in base alla riforma del codice penale turco, viene condannato a scontare quel presunto residuo.

La mattina del 18 agosto Ali viene arrestato. Su di lui pende una richiesta di estradizione totalmente ingiustificata. Ali rischia di finire nelle carceri turche, di essere torturato e ucciso.
Questo è Ali Orgen. Non quello dipinto come un “terrorista” dai mass media imbeccati dalle note dell’Interpol e dell’Ucigos, silenziosi complici, insieme al governo italiano, del sistema repressivo turco.
Nel più totale silenzio Ali Orgen è stato trasferito dal carcere di Taranto. Ciò a conferma del tentativo palese di isolarlo dai suoi affetti familiari e da quella vastissima rete di solidarietà che immediatamente si è creata nei suoi confronti.
Negli anni novanta Ali è stato vittima di un processo ingiusto. Oggi è vittima di una ingiusta richiesta di estradizione che si basa sull'assurda applicazione di un nuova legge liberticida.

Per questi motivi il Comitato di solidarietà ad Ali Orgen indice un sit-in itinerante sabato 28 Agosto 2010 dalle ore 10,00, con concentramento presso il phone-center di Ali Orgen sito in via Mazzini 105. L'iniziativa si concluderà presso la prefettura di Taranto, dove alle ore 11 è prevista una conferenza stampa finalizzata a ripristinare la verità sul caso di Ali Orgen.




Comitato di solidarietà ad Ali Orgen- No all'Estradizione


F.i.p. Via Lazio 87/A

mercoledì 25 agosto 2010

presidio di oggi

fonte PeaceRepoter

23/08/2010versione stampabilestampainvia paginainvia

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Intervista all'avvocato Arturo Salerni, che ha difeso i curdi accusati di militanza nel Pkk
La situazione nel Kurdistan turco diventa sempre più grave. Dalla rottura del cessate il fuoco del 1 giugno scorso, sono almeno duecento le vittime degli scontri tra i militari turchi e i miliziani del Partito Curdo dei Lavoratori (Pkk), che si battono contro il centralismo di Ankara.
Il 23 agosto 2010 i vertici militari turchi hanno rispedito al mittente la tregua unilaterale proclamata dal Pkk, che chiede una soluzione politica al conflitto che insanguina il Kurdistan turco dagli anni Ottanta. Mentre aleggia anche l'accusa, per l'esercito turco, di aver usato armi chimiche nei bombardamenti delle postazioni Pkk, come denunciato dal settimanale tedesco Der Spiegel, anche in Italia è iniziata un'offensiva silenziosa contro il Pkk, con una serie di arresti contro curdi sospettati di fare da quinta colonna in Europa al Pkk.
PeaceReporter ha intervistato l'avvocato Arturo Salerni, che difende molte delle persone arrestate nell'ambito di inchieste differenti.
Avvocato Salerni, cosa succede?C'è una piega pericolosa negli ultimi giorni e nelle ultime settimane; arrivano le une dopo le altre notizie e provvedimenti che ci portano davanti al giudice. Non riesco a capire perché. Una grande fatica, ma fino a oggi l'abbiamo sempre spuntata.
Cerchiamo di fare chiarezza: quante e quali sono le inchieste in corso in Italia?C'è un'inchiesta a Roma, con le perquisizioni fatte la scorsa estate (2009 ndr), rimasta allo stadio delle indagini preliminari, che indagava su presunti illeciti finanziamenti a organizzazioni separatiste curde. Sono quattro i curdi indagati, quasi tutti gestori di negozi di kebab. Un'altra inchiesta è quella della Procura di Venezia, che indagava su campeggi che sarebbero serviti all'indottrinamento ideologico e all'arruolamento in favore del Pkk e furono arrestate una decina di persone a febbraio 2010, ma il Tribunale della Libertà li ha scarcerati tutti. Questo non significa che l'inchiesta è conclusa, ma significa che anche in questo caso l'inchiesta rimane là, con un fascicolo aperto. Oltre questo, ci sono una serie di mandati di arresto europei da parte della Francia che ha inchieste simili in corso. Nel corso del 2010 due di queste richieste - per persone indagate anche a Venezia - sono state respinte dalla Corte d'Appello di Firenze. Uno dei due è stato espulso in via amministrativa verso la Francia e su questo provvedimento stiamo per intervenire presso la Corte di Strasburgo, anche se giunto in Francia è stato rimesso in libertà.
Si tratta di persone stabilmente residente in Europa e in Italia. Perché vengono arrestate?Il caso di Nizamettin Toguc è davvero incredibile. Eletto deputato in Turchia nel 1990, si è dovuto rifugiare in Europa dove, in Olanda, ha ottenuto prima lo status di rifugiato politico e poi la cittadinanza. Toguc, alla luce del sole, conduce l'attività politica del parlamento turco in esilio e dell'associazionismo della diaspora curda. In vacanza per qualche giorno in Italia, è stato arrestato per un mandato di cattura internazionale a Padova. La Corte d'Appello di Venezia, il 13 agosto, dopo tre udienze, l'ha scarcerato. In qualche modo è stata riconosciuta l'infondatezza e la natura politica delle accuse. I giudici, per fortuna, hanno capito la situazione e l'hanno rimesso in libertà. Un altro caso di queste ultime ore pende presso la Corte d'Appello di Taranto. Io non sono il difensore di Alì Orgen, ma me ne sono occupato telefonicamente in queste ore. Orgen, residente da anni in Italia, sembrerebbe colpito da un provvedimento di condanna in Turchia e su di lui pende una richiesta di estradizione. Un'altra richiesta è stata presentata nei confronti di un presunto dirigente Pkk dalla Francia, Nedin Seven. Qualche mese fa Seven è stato consegnato prima alla Francia ma poi, di fronte alla richiesta turca di estradizione, la magistratura francese è dovuta tornare di nuovo a chiedere l'autorizzazione all'Italia. La Corte d'Appello di Roma ha respinto con una sentenza molto motivata la richiesta di estradizione.
Ma che senso ha presentare istanze destinate a cadere nel nulla?Difficile dirlo. L'elemento che emerge da questo quadro è che quando si arriva di fronte a una magistratura giudicate queste inchieste saltano. Ciò ne dimostra l'inconsistenza e la difficoltà nell'individuare la natura del reato, anche a causa del contesto.
Si riferisce a un contesto giuridico o politico?La questione curda è molto complessa e non può essere affrontata solo con le armi del diritto. In questo senso sussiste un elemento di grande ambiguità in sede europea, sia pure smentito più volte dalla Corte di Giustizia, rispetto all'iscrizione del Pkk nella 'lista nera' delle organizzazioni terroristiche. E' questo il punto sul quale la dottrina giuridica e le coscienza democratiche debbono iniziare a interrogarsi, ragionando sulla natura di un'organizzazione che rappresenta delle istanze popolari e che in uno schema semplicistico di lotta armata viene definita terrorista, ma si tratta di superare questo ragionamento, perché solo facendo questo si arriva a mettere sul tavolo della soluzione politica un attore come il Pkk, innanzitutto rappresentato da Ocalan, detenuto da dieci anni ma ancora il leader riconosciuto della minoranza curda in Turchia.
Una situazione, quella di Ocalan, che di per se merita un capitolo a parte nell'ambito della cultura giuridica.
La sua è una situazione gravissima, più volte segnalata dagli organi di giustizia comunitaria e del Consiglio d'Europa, oltre che dalla Commissione per la prevenzione della tortura. Le sue condizioni di isolamento, che ricordiamo essere quelle di un detenuto unico per tutto il carcere di Imrali, sono leggermente cambiate negli ultimi tempi, ma non abbastanza da non essere ritenute inumane e degradanti. La sentenza del Tribunale di Roma di dieci anni fa, proprio rispetto alla richiesta di estradizione di Ocalan riparato in Italia, sono ancora la bussola giuridica in materia e i giudici le tengono presenti di fronte a una richiesta turca di estradizione di un militante curdo che, qualunque sia la sua posizione, rischia di subire gravi violazioni dei suoi diritti all'interno del sistema carcerario turco.
Continueremo, quindi, ad assistere a arresti che poi si risolvono in un nulla di fatto? La questione è spinosa e ci costringe, anche in sede legale, a richiamare nozioni di storia, di geopolitica, oltre che di standard dei diritti umani. Una questione molto complessa, della quale si ritrovano investiti i giudici delle diverse città italiane. Certo si tratta di atti dovuti, ma si nota un particolare zelo in questa attività di attuazione di ordini di cattura e di richieste di estradizione. Cosa avremmo dovuto fare se, in passato, fosse passato dall'Italia Nelson Mandela, ricercato come terrorista in Sudafrica? Per uscire da questa situazione assurda serve una parola politica più alta che faccia chiarezza sulla questione curda, lontanissima dalla fattispecie della ordinaria storia di criminalità organizzata.
Christian Elia

SABATO 28 AGOSTO

IL COMITATO DI SOLIDARIETÀ AD ALI' ORGEN, SABATO 28 AGOSTO INDICE UN PRESIDIO CON CONFERENZA STAMPA DALLE ORE 10,00 NEI PRESSI DELLA CASA CIRCONDARIALE DI TARANTO PER INFORMARE LA CITTADINANZA DELL'INGIUSTIZIA CHE SI STA CONSUMANDO NEI CONFRONTI DI ALI'.



martedì 24 agosto 2010

Ali Orgen libero
No all’estradizione



Non si può capire l’arresto e la richiesta di estradizione di Ali Orgen se non parliamo del Kurdistan, un paese negato che invece ha un suo popolo, suoi confini, una sua lingua, una sua cultura. Un paese di 40 milioni di persone che ha subìto e subisce il genocidio perpetrato da quegli stati che, come la Turchia, ma anche l’Iran, l’Iraq e la Siria, ne occupano le terre e ne vogliono distruggere la storia.
Ali Orgen è di Bismil. Quotidianamente la Turchia, paese occupante, incarcera, tortura, ammazza, usa armi chimiche, reprime tutti i curdi che lottano per l’indipendenza e per la creazione di una società nuova. Per il solo fatto di parlare il curdo, si rischia la prigione. Ogni formazione politica curda è bandita. Del resto, Amnesty International, altre ong, giuristi democratici, parlamentari di tutto il mondo, hanno denunciato e denunciano ripetutamente questo sistema repressivo turco nei confronti dei curdi.
Ali Orgen ha scelto come tanti altri curdi di manifestare e lottare per la liberazione del proprio popolo, il riconoscimento dei suoi diritti e l’indipendenza dallo Stato turco. Per questo, nel novembre del ’96 è stato arrestato. Dopo tre anni di carcere duro, in cui viene ripetutamente torturato, è condannato a morte, benché non sia mai stato accusato di alcun fatto di sangue. La condanna viene poi tramutata in ergastolo e successivamente in sei anni di reclusione. È un processo farsa, che si svolge senza un avvocato difensore. Al momento della condanna, ad Ali manca da scontare un residuo di pena, ma gli viene abbuonato.
Dal 2003 Ali vive in Italia. Ha scelto di vivere a Taranto, città in cui ha sempre lavorato e in cui ha creato solide e molteplici relazioni sociali. Da un paio d’anni aveva aperto un phone center, il primo della città, per permettere a tutti gli stranieri di chiamare a prezzi modici nei propri paesi. Il centro, ribattezzato “Alicenter”, è diventato un punto di riferimento per tutti i migranti di Taranto e provincia.
Nel 2005, in sua assenza, il processo viene riaperto, e in base alla riforma del codice penale turco, viene condannato a scontare quel presunto residuo.
Quando quest’anno richiede un nuovo passaporto turco per rinnovare il permesso di soggiorno, per tutta risposta insieme al diniego arriva la richiesta di estradizione.
La mattina del 18 agosto Ali viene arrestato. Su di lui pende una richiesta di estradizione totalmente ingiustificata. Ali rischia di finire nelle carceri turche, in cui perdurano le torture, in cui i curdi sono detenuti in condizioni disumane e uccisi.

Questo è Ali Orgen. Non quello dipinto come un “terrorista” dai mass media imbeccati dalle note dell’Interpol e dell’Ucigos, silenziosi complici, insieme al governo italiano, del sistema repressivo turco. Per ulteriore chiarezza ribadiamo che Ali Orgen non è affatto coinvolto nell'inchiesta sul cosiddetto “terrorismo curdo” in Italia, che peraltro si è conclusa in un nulla di fatto, né su questo si basa la sua richiesta di estradizione.
Negli anni novanta Ali è stato vittima di un processo ingiusto. Oggi è vittima di una ingiusta richiesta di estradizione che si basa sull'assurda applicazione di un nuova legge liberticida.

Per questi motivi è nato il Comitato di solidarietà ad Ali Orgen. Questo comitato porrà in essere una serie di iniziative pubbliche per la sua scarcerazione e invita i singoli cittadini e tutte le organizzazioni che sostengono i diritti umani e i diritti dei popoli ad attivarsi per sostenere questa causa e per impedire l'estradizione.

Comitato di solidarietà ad Ali Orgen