NOTIZIE BREVI

ALI ORGEN È LIBERO!!!!!!!

GIOVEDì 28 OTTOBRE ORE 11 CONFERENZA STAMPA PRESSO LA CONFEDERAZIONE COBAS (via Lazio n°51)

martedì 28 settembre 2010

PROSSIMA ASSEMBLEA 29/09/10

La prossima assemblea del Comitato è  MERCOLEDI' 29 SETTEMBRE 2010 PRESSO LA SEDE DELLA CONFEDRAZIONE COBAS IN VIA LAZIO 51 ALLE ORE 20.00

mercoledì 22 settembre 2010

RINVIATO!!!! SABATO 25 BANCHETTO INFORMATIVO E RACCOLTA FIRME

CAUSA PIOGGIA IL BANCHETTO DI QUESTO POM È STATO RINVIATO

Sabato 25 settembre appuntamento alle 18 in piazza Maria Immacolata angolo via D'Aquino, il comitato sarà lì con un banchetto informativo e per continuare la raccolta firme.

giovedì 16 settembre 2010

PROSSIMA ASSEMBLEA MARTEDÌ 21 SETTEMBRE

La prossima assemblea del comitato si terrà Martedì 21 presso la sede della confederazione COBAS in via Lazio 51.

lunedì 13 settembre 2010

PROSSIMA ASSEMBLEA GIOVEDÌ ALLE 19

Vi informiamo che la prossima riunione del comitato si svolgerà il giorno 14 settembre alle ore 20,00 presso la sede di SINISTRA CRITICA,
mentre giovedì 16 alle 19 ci sarà un assemblea con gli avvocati tarantini presso radio popolare (primavera radio) in via mezzetti 24 adiacente piazza Pio X.

venerdì 10 settembre 2010

intervista all'avv. Arturo Salerni

Parla il Presidente dell’Associazione Europa Levante e avvocato di Öcalan: "E' il Mandela dei curdi"
intervista ad Arturo Salerni di Marco Incagnola
 
Come raccontato in questa pagina, il Comitato europeo ha reso pubblico il report sulla visita nel carcere dove attualmente è detenuto Öcalan. Parliamo della sua situazione con Arturo Salerni, che oltre ad essere l’avvocato che consentì al leader del Pkk il riconoscimento del diritto di asilo è anche il Presidente dell’Associazione Europa Levante.
Avvocato Salerni, cosa pensa della situazione in Turchia, oggi, rispetto all’annoso conflitto tra kurdi e turchi?
Fino a poco tempo fa, sembrava che ci fossero delle aperture da parte del Governo Erdogan ma in realtà, anche per la pressione dei militari che partecipano sempre attivamente alla vita politica turca, il percorso ha registrato molte più battute d’arresto che passi in avanti. Negli ultimi mesi ci sono stati arresti di amministratori locali nell’area del sud est e lo scioglimento del DTP, il partito che rappresentava l’etnia kurda nel Parlamento turco. Le aperture del Governo, peraltro, erano attese anche in considerazione del fatto che il percorso di ingresso in Europa della Turchia richiede il riconoscimento di alcuni standard democratici. Ma anche la presenza di molte forze politiche, soprattutto in Francia e Germania, che hanno premuto per non fare entrare la Turchia in Europa, hanno fatto sì che la Turchia oggi guardi più al Medioriente che all’Europa. La questione dei diritti della minoranza kurda, insomma, non ha registrato significativi miglioramenti.
Lei è stato l’avvocato che ha consentito il riconoscimento del diritto di asilo ad Öcalan. A chi sono attribuibili, a suo avviso, le responsabilità dell’arresto?
Öcalan ha subito delle condizioni di detenzione inammissibili, durissime. Unico prigioniero sull’isola di İmralı, per oltre dieci anni. Senza parlare delle modalità di arresto, un’operazione di illegalità internazionale. Tutti ricordano l’assalto all’ambasciata di Nairobi. Öcalan è il Mandela dei kurdi, ed è riconosciuto come tale dal suo popolo. Un attore indispensabile per un possibile dialogo tra le parti. Oggi Öcalan è stato sostanzialmente neutralizzato. L’Italia formalmente non lo ha mai respinto. Formalmente la magistratura ha anche dichiarato il suo diritto all’asilo. Il nostro Paese, invece, ha una grande responsabilità politica, anche per non aver fino in fondo offerto sostegno ad Öcalan. All’Europa è mancata una visione politica capace di imporre un vero e proprio negoziato tra lo stato turco e i kurdi che vivono in Turchia. Stiamo parlando di circa 20 milioni persone, circa un quarto della popolazione turca. La situazione si è evoluta positivamente per i kurdi a livello internazionale, con il riconoscimento della Regione autonoma del Kurdistan. Oggi le condizioni sarebbero pure favorevoli, ma se non si pone il negoziato come punto imprescindibile per l’ingresso in Europa della Turchia, sarà difficile che si compiano decisivi passi in avanti.
L’Unione Europea ha inserito molte organizzazioni kurde tra quelle terroristiche. Cosa ne pensa?
L’inserimento del Pkk e del Kongra-gel è una forzatura dal punto di vista giuridico. Alcuni organismi giurisdizionali europei hanno dichiarato illegittimo l’inserimento da parte del Consiglio dell’Unione Europea del Pkk nella lista delle organizzazioni terroristiche. Dopo l’estate partirà una campagna dei giuristi europei per l’escludere il Pkk da questa lista. Una decisione che, obiettivamente, è insensata.

Articiolo pubblicato su Terra del 15 luglio 2010

presidio sotto il carcere di Benevento


Sabato 4 Settembre il Comitato di Solidarietà ad Alì Orgen ha organizzato sotto il carcere di Benevento un presidio contro l'estradizione di Alì.

Il pullman è partito da Taranto verso le 13 portando con se una folta delegazione proveniente un pò da tutta la Puglia.
Verso le 17 siamo arrivati a Benevento, appena scesi dal pullman abbiamo cominciato ad allestire il piazzale davanti all'ingresso del carcere con striscioni foto e materiale informativo vario, dopo poco sono arrivate le delegazioni napoletane e beneventane.

La prima ora di presidio è stata dedicata ad una fondamentale parte informativa svolta per la strada, molte macchine si sono avvicinate agli striscioni incuriosite.

Finita la parte informativa tutto il presidio si è mosso in corteo spontaneo ed è arrivato dietro al carcere là dove sono le celle dei detenuti.

In quel luogo la parte informativa non serviva, servivano solo le voci, voci che dovevano arrivare nelle celle.

Tuttavia il presidio non si è concentrato esclusivamente sulla questione umana, ma soprattutto sulla questione politica.

Alì è in carcere in quanto Kurdo, perchè il popolo Kurdo rivendica il dirittoall'autodeterminazione a parlare la propria lingua a salvaguardare le proprie radici e la propria cultura.

Chiedere la liberazione di Alì significa inevitabilmente chiedere la liberazione del popolo Kurdo perchè sono oltre 10000 i Kurdi sottoposti a torture quotidiane nelle carceri turche anche solo per aver parlato in kurdo.

I militanti del PKK hanno più volte dimostrato di essere partigiani per il Kurdistan e il governo turco altrettante volte ha dimostrato la sua ferocia e il suo tentativo di genocidio del popolo Kurdo, mentre la comunità internazionale finge di non vedere.

L'infamia delle richieste di estradizioni dei kurdi deve finire, lo Stato italiano non può permettere di consegnare nelle mani di questi macellai i nostri fratelli kurdi. Ricordiamo soltanto che quando l'allora governo D'Alema temporeggiava sull'estradizione di Ocalan la Turchia bloccò immediatamente tutti i traffici commerciali in uscita verso l'Italia, non possiamo permettere che questo accada ancora.

Non possiamo permettere che squallidi interessi di mercato abbiano la precedenza sulla vita delle persone e sul diritto di ogni popolo all'autodeterminazione.
Oggi come ieri siamo contro l'estradizione di Alì siamo con i Kurdi e con i PARTIGIANI del Partito dei Lavoratori Kurdo.

mercoledì 8 settembre 2010

venerdì 3 settembre 2010

da 'il megafono quotidiano'

CURDI UN APPELLO PER ROMPERE IL SILENZIO
di Hevi Dilara

Pubblichiamo la lettera di Hevi Dilara, rifugiata politica curda, come atto di denuncia della repressione che si è abbattuta sulle comunità curde presenti in Europa (Italia compresa) negli ultimi giorni. La vicenda personale di questa donna, nella quale si incarna l'esperienza resistenziale di un intero popolo negato, contribuisce anche a ridare un significato autenticamente politico alla celebrazione dell'8 marzo che ricorre oggi. Fino ad ora, nel Kurdistan turco, sono stati distrutti più di 4500 villaggi e si stima che siano più o meno 5 milioni gli uomini e le donne che il processo di “turchizzazione” ha costretto a fuggire lontano dalla propria terra, nelle disumane baraccopoli delle metropoli turche o nelle periferie delle città europee. Chi è rimasto, lotta ogni giorno contro la violenza dei militari che occupano le città. E più si procede verso est, più questa presenza è pressante. Persino le montagne recano scritto sulle proprie pareti “fieri di essere Turchi”.

Il mio nome è Hevi, che in lingua kurda significa speranza. Ma sui documenti ho un nome turco, perché in Turchia è proibito dare ai figli un nome kurdo.
Sono una rifugiata politica, fuggita dalla repressione turca, e vivo in Italia da 14 anni.
Sono una donna kurda, perseguitata per aver voluto esprimere la mia identità, per aver voluto far parte di un gruppo di musicisti kurdi, di cui ero la cantante. Come tante altre, che ancora oggi continuano ad essere perseguitate e subiscono la repressione.
Il popolo kurdo sta vivendo una persecuzione unica nel suo genere, di cui nessuno parla, soprattutto in Europa, e nemmeno in Italia.
Il 2008 ha visto un grave aumento dei dati sulla repressione nei confronti di cittadini e della società civile kurda in Turchia, come emerge anche nei rapporti di Amnesty International e dell'Associazione per i diritti umani.
La Turchia considera i kurdi dei terroristi, per la loro volontà di esistere. Ed esige dagli alleati europei, che lo siano anche per loro. Accettarlo significa violare ogni convenzione internazionale e dichiarazione universale per i diritti umani, che l’Italia e gli altri paesi europei hanno firmato.
L'Unione europea ed i paesi ad essa appartenenti, si stanno allineando alla prassi turca di annientamento e negazione di un popolo. Quel popolo kurdo, che in Europa si attesta attorno al milione di persone, fra rifugiati politici e migranti.
Pur essendo una comunità di recente venuta in Italia, nelle aree in cui vivono i kurdi e le kurde sono molto bene integrati, e vi lavorano e studiano. Non va dimenticato però che sono fra le migliaia di vittime della guerra che i militari e lo stato turco perpetrano contro il popolo kurdo: uomini, donne e bambini. I rifugiati politici come me, infatti, non sono migranti che lasciano con un progetto di vita nuovo il proprio paese. Essi sono in fuga, alla ricerca di un posto dove poter vivere e sentirsi al sicuro. Nonostante le difficoltà di trovare un lavoro, come rifugiati politici e migranti kurdi, siamo riusciti a sentirci come a casa qui in Italia, accolti dagli italiani che ci hanno fatto sentire la loro vicinanza. Ma ci risulta difficile comprendere che la polizia attacchi noi kurdi anche nelle case.
In Italia vivono kurdi che sono in maggioranza rifugiati politici, fuggiti da un paese in cui rischiano la vita. Secondo l'Associazione dei diritti umani sono almeno 18 le esecuzioni extra-giudiziarie avvenute nel 2009 in Turchia. Sono più di duemila i giovani sotto i 18 anni arrestati per aver partecipato a manifestazioni di piazza per i diritti del popolo kurdo. Sono centinaia i rappresentanti democraticamente eletti in Parlamento e nelle amministrazioni locali che nell’ultimo anno sono stati imprigionati. Uomini e donne che si battono per l’affermazione dei diritti e un’autonomia territoriale come quella che in Italia viene riconosciuta all’Alto Adige e alle altre regioni a Statuto speciale.
Anche in Europa, come si è visto dalla grave operazione lanciata la settimana scorsa in Italia e attualmente ancora in corso anche in Francia e in Belgio, le azioni del movimento kurdo vengono considerate azioni di terrorismo. Si tratta di manifestazioni pubbliche di carattere culturale e politico, trasmissioni televisive, festival e concerti, oppure anche di incontri residenziali svolti alla luce del sole in luoghi pubblici, come quelli tenutisi in Italia.
I kurdi in Europa svolgono attività d’informazione e di sensibilizzazione senza aver mai commesso alcuna azione terroristica.
In Europa ci si avvia verso un conformismo alle pratiche turche in nome di interessi che vanno al di là di ogni civiltà e che attraverso queste forme di persecuzione usando il nome del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, che in Europa non esiste, portano alla criminalizzazione del popolo kurdo di Turchia e di chi si espone a difesa dei propri diritti.
Faccio personalmente appello alle organizzazioni delle donne italiane, ai democratici e alla società civile italiana affinché si rompa il silenzio attorno ai fatti di repressione nei confronti dei kurdi, che non vengono solo perseguitati in patria, ma anche in Italia.
Vi ringrazio per l’attenzione.
HEVI DILARA

mercoledì 1 settembre 2010

Le carceri turche raccontate da chi c’è stato

Dino Frisullo con Giancarlo Mola


"I curdi parlano del carcere come della loro universita’. E del loro tempio: gli eroi nazionali sono quelli che si sono lasciati morire di fame o si sono dati fuoco dietro le sbarre. Nell’abisso delle prigioni turche darsi la morte e’ l’unico messaggio di vita". Dino Frisullo sa di cosa parla. Perche’ lui quelle carceri le ha provate. E ha respirato l’aria pesante della repressione in nel Kurdistan turco. Il pacifista barese e’ stato arrestato dalla polizia turca a Diyarbakir il 21 marzo 1998. "Ero andato li’ con una delegazione di cento osservatori europei per seguire una manifestazione in occasione del Newroz, il capodanno curdo. C’erano 70.000 persone. Quattro anni primi quel corteo si era concluso nel sangue, con 40 curdi morti durante gli scontri con la polizia. Gli anni successivi invece non c’erano stati disordini, proprio grazie alla presenza degli osservatori". Anche quell’anno tutto sembrava tranquillo. Poi pero’ la situazione e’ precipitata. Centinaia di feriti, una donna e un bambino finiti sotto i cingoli dei carri armati e ridotti in coma.
Dino Frisullo venne allora arrestato, insieme ad altri due italiani, un giovane di Firenze e una ragazza napoletana. "Ci portarono – ricorda - al comando di polizia. Rimanemmo li’ dentro agli arresti per tre giorni, senza un avvocato. Poi gli altri due furono scarcerati ed espulsi. Su di me invece lo stato turco decise di costruire il processo esemplare". Il portavoce della Rete antirazzista fu poi scarcerato il 30 aprile, dopo la prima udienza, alla quale era stato accompagnato in ceppi. Si e’ ripresentato al processo, dove ha subito una condanna a un anno di reclusione (con la condizionale) e una multa a circa quaranta milioni in lire italiane per apologia di terrorismo. "Il mio caso rischiava di compromettere irreparabilmente i rapporti tra la Turchia e l’Italia o l’intera Europa. Per questo sono stato risparmiato".
Ma il ricordo di quei quaranta giorni e’ indelebile. "C’erano ovunque per il carcere le tracce degli strumenti di tortura. Ho visto gli anelli di metallo sospesi a due metri e mezzo da terra a cui venivano appesi i prigionieri, le vasche in cui venivano immersi in acqua gelida, o nell’orina e gli escrementi, i fili elettrici. La cella di fronte alla mia e’ stata per decenni uno dei principali luoghi di tortura. Era divisa in veri e propri loculi. Ciascuno aveva un finestrino che dava sul corridoio: da li’ i prigionieri ogni giorno dovevano esporre le mani e i piedi per la bastonatura".
Oggi nel carcere di Diyarbakir le condizioni dei detenuti sono migliori rispetto a quelle dei sessanta penitenziari speciali disseminati per la Turchia, in cui sono confinati oltre 12.000 prigionieri politici curdi. Nel ’97 una rivolta fu repressa, e dodici condannati massacrati brutalmente dai soldati. Il governo fu costretto a sostituire il direttore. Adesso li’ non si pratica piu’ la tortura sistematica. Ma i maltrattamenti si’. "La notte prima del mio processo senti’ urla e grida dalla sezione dei detenuti politici. I curdi scandivano slogan, i soldati erano in fibrillazione. Il giorno dopo seppi che tre prigionieri erano stati bastonati a sangue e lasciati mezzi morti davanti alle loro celle", ricorda Frisullo.
La sua voce e’ calma mentre racconta quella che definisce "l’esperienza piu’ dura e formativa della mia vita". Ma la tensione e la rabbia tenute dentro sono tradite dalle mani. Sono poggiate sulle gambe, ben strette. Quasi volessero assicurarsi che si’, sono ancora li’, nessuno le ha spezzate. Tra le dita c’e’ spesso una Ms, da cui aspira raramente. Per non interrompere le parole. "La cosa piu’ terribile del sistema carcerario turco e’ il totale arbitrio. Puoi restare li’ settimane, mesi, anni, decenni. Sepolto vivo, sempre nella paura che possa succederti qualcosa. Molti detenuti non vanno mai in ospedale, neanche quando stanno male: perche’ li’ ti fanno una iniezione di strictnina e dicono che hai avuto un infarto".
Dall’esperienza della tortura dopo gli arresti passano praticamente tutti. Anzi la resistenza alla tortura, per i curdi, serve sostanzialmente a stabilire a quale sezione del carcere si deve essere assegnati. "Se dopo quattro o cinque giorni l’arrestato non firma la confessione, gli viene contestato un reato comune, spesso il traffico di droga, e viene condannato a otto-dieci anni. Se firma subito e’ accusato di un crimine politico e le pene vanno da quindici a venticinque anni di prigione". Quelle dei "politici" sono condizioni durissime. Di cui pero’ Dino Frisullo non ha esperienza diretta. Pur essendo accusato di un reato politico e’ stato infatti tenuto nella cella dei delinquenti comuni: "Non volevano che avessi contatto con i perseguitati, che vedessi da vicino, che guardassi i volti. Ma in carcere ci sono mille modi per comunicare…". La sua prigionia e’ stata trascorsa quindi in una grande cella con altri trentacinque condannati. Diciotto file di letti a castello, con al centro un tavolo. Un televisore con un solo canale, quello della tv di stato. E il fornelletto del te’ sempre acceso, dove i carcerati cucinano le provviste che gli mandano i parenti. Per integrare le scarse razioni di brodaglia che dovrebbero essere il pasto dei detenuti.
C’e’ poi la guerra tra i detenuti, ferocemente sobillata dai militari. L’enorme costruzione di cemento alla periferia di Diyarbakir, isolata da un profondo fossato e separata dal mondo esterno con una enorme porta di ferro ad ante scorrevoli, e’ divisa in tre sezioni per i "politici", piu’ la cella dei "comuni". In fondo, relegati, gli irriducibi. Piu’ vicini, anche fisicamente, alla direzione, i pentiti. Che sono utilizzati anche per attivita’ repressive. "Mi accorgevo che le loro celle di giorno si svuotavano", dice Frisullo. "Ho chiesto e mi hanno spiegato che vanno fuori a dare una mano alla polizia, a sparare contro i loro connazionali". In mezzo i "senza parte", gli indecisi. Su cui sono esercitate violente pressioni. Non possono vedere i duri e puri. Sono invece a contatto con i pentiti, da cui vengono spesso. I trattamenti sono diversificati. I pentiti hanno diverse ore d’aria al giorno, possono incontrare i loro familiari faccia a faccia. Gli altri invece non hanno diritti. Possono vedere i loro parenti attraverso due grate a un metro di distanza l’una dall’altra. "Se uno ha un figlio non puo’ toccarlo. Puo’ rimanere li’ per vent’anni e vedere crescere solo un’ombra".
Queste sono le galere turche, quelle migliori. "E’ l’isolamento del mondo, il silenzio del mondo", dice Frisullo. "Quando ero li’ non potevo leggere stampa straniera, non avevo contatti con l’esterno, solo poche lettere passavano al vaglio della censura. Ho saputo della mobilitazione internazionale a mio favore solo quando sono uscito. Mentre ero li’ guardavo solo i giornali di regime che mi definivano ogni giorno provocatore, infame, terrorista". Eppure la posizione di Frisullo non era cosi’ compromettente. "Sono andato in Turchia come osservatore. Solidale si’, ma pur sempre osservatore. Non era certo dalla parte dello stato ma neppure dell’anti stato", dice. Lui comunque si considera un miracolato. "Sono l’unico europeo a essere entrato nelle carceri turche e a esserne uscito per poter raccontare. Quei giorni li’ dentro pero’ mi hanno cambiato. Per questo al processo ho ironicamente ringraziato i giudici turchi per l’esperienza che mi avevano fatto vivere".
Ma Dino Frisullo in Turchia ci vuole tornare. Provera’ quando si terranno le nuove elezioni, ma probabilmente sara’ respinto alla frontiera. "Quel che e’ certo – afferma – e’ che ci tornero’ se dovessero uccidere Ocalan, cosa che ritengo probabile. In quel caso pero’ lo faro’ clandestinamente. Per stare a fianco del popolo curdo in quello che di certo sara’ diventato un inferno".



5 marzo 1999